Mantenimento anzianità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Potenza – Sezione Lavoro – riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

Dr. Maura Stassano – Presidente –

Dr. Roberto Spagnuolo – Consigliere relatore –

Dr. Aida Sabbato – Consigliere –

ha pronunziato la seguente:

SENTENZA

nella causa di lavoro iscritta al n. 391/2012 R.G., avente ad oggetto: “retribuzione” e vertente

De.An., nato (…), elettivamente domiciliato in Potenza in via (…), presso Ma., rappresentato e difeso dall’avv. Lu.Lo. con studio legale in Lavello (PZ), alla via (…), in virtù di mandato a margine dell’atto di appello,

Appellante

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici in Potenza al Corso (…) ope legis domicilia,

Appellato

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in riassunzione depositato presso il Tribunale g.l. di Potenza il 22/4/2009 – a seguito della sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 346/09 del 5/3/2009 che, riformando la pronuncia del locale Tribunale n. 1290/06 del 13/10/2006, aveva dichiarato sussistente nella controversia devoluta al primo giudice la giurisdizione dell’a.g.o. – il sig. De.An., premesso che a seguito di pubblico concorso e con decorrenza dal 2/4/1986 era transitato dai ruoli del personale della U.S.L. n. 1 di Venosa a quelli del Ministero di Grazia e Giustizia, assumendo servizio presso la Corte di Appello di Potenza e facendo congiungere in un unico rapporto i due servizi; che il Ministero non gli aveva riconosciuto la maggiorazione economica degli scatti di anzianità già maturati ed in godimento per Lire 87.999, che aveva diritto di percepire anche sul nuovo stipendio, ex art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957; che il Ministero stesso, nel calcolare la maggiorazione R.I.A. spettante al ricorrente, ex art. 9 del D.P.R. 17/1/1990 n. 44, non aveva tenuto conto del servizio e dell’anzianità pregressi, maturati presso l’azienda sanitaria venosina a decorrere dal 18/10/1979; che inutile era stata ogni richiesta inoltrata alla nuova amministrazione di appartenenza nelle date del 1/3/99 e 15/7/2003; ciò premesso, chiedeva al giudice adito di accertare e dichiarare il proprio diritto “ad ottenere il riconoscimento economico degli scatti di anzianità maturati ed in godimento al momento del passaggio al Ministero di Grazia e Giustizia, nella misura di Lire 87.999 (Euro 45,45) con effetto dal 1/7/1998, con conseguente incremento dell’attuale R.I.A. in godimento maturata presso il Ministero nonché il diritto “ad ottenere il riconoscimento economico della maggiorazione R.I.A., ex art. 9 dpr n. 44/1990, nella misura raddoppiata ex comma 5 per aver maturato oltre dieci anni di servizio nella vigenza contrattuale con decorrenza dall’1/07/1998″, con conseguente condanna del Ministero al “pagamento del maturato economico di cui ai due punti precedenti, illegittimamente non versati a far tempo dal 1/07/1998, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino all’effettivo soddisfo” ed alla “ricostituzione della posizione previdenziale, sempre con decorrenza dal 1/7/1998, conseguente al riconoscimento economico di cui ai precedenti punti”; il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio.

Costituitosi in riassunzione, con memoria depositata il 25/3/2010, il convenuto Ministero chiedeva il rigetto delle avverse pretese perché infondate e comunque estinte per intervenuta prescrizione, con condanna del ricorrente al pagamento delle competenze del giudizio.

Con sentenza n. 1289/11 del 14/6/2011, il Tribunale di Potenza rigettava la domanda, rilavando come, in base ad un recente arresto della Suprema Corte, che il giudice riteneva di condividere, la retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) fosse istituto retributivo commisurato all’anzianità di servizio e preordinato a premiare l’esperienza professionale maturata nello specifico settore nel quale è effettuata la prestazione, talché la maggiorazione prevista dall’art. 9 co. 5 del D.P.R. n. 44/1990, in favore del personale statale che avesse maturato una certa anzianità di servizio, spettasse soltanto a coloro che tale anzianità avessero conseguito nel medesimo, specifico settore lavorativo nel quale vigeva la maggiorazione stessa. Rigettata la domanda, dichiarava integralmente compensate tra le parti le spese di lite.

Avverso tale decisione De.An. proponeva appello, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 24/5/2012, chiedendo l’integrale riforma della sentenza di prime cure, sulla scorta delle surriportate conclusioni. Depositava copia della sentenza impugnata ed il fascicolo del giudizio di primo grado. Emesso decreto presidenziale ex art. 435 c.p.c., notificato in uno all’atto introduttivo alla controparte, si costituiva il Ministero della Giustizia, a mezzo dell’Avvocatura erariale, e resisteva al proposto gravame, chiedendone il rigetto. Alla fissata udienza di discussione erano presenti i procuratori costituiti; la Corte, ritenutane la necessità, disponeva farsi luogo ad una C.T.U. di natura contabile. All’esito di tale accertamento, e dopo il deposito da ambo le pari di note scritte autorizzate, all’udienza del 9/10/2014 i procuratori delle parti si sono riportati ai rispettivi atti ed hanno discusso oralmente la causa, che è stata decisa come da dispositivo in calce, letto in udienza.

MOTIVAZIONE

L’appello è solo parzialmente fondato e la sentenza gravata va riformata in parte, per le ragioni di seguito esposte.

Come si ricava dalle conclusioni del ricorso di primo grado e come ha rimarcato la difesa dell’appellante nelle note autorizzate da ultimo depositate in questo giudizio di gravame, la domanda formulata da De.An. “è duplice: una attiene al diritto del ricorrente di ottenere il riconoscimento economico degli scatti di anzianità maturati ed in godimento al momento del passaggio al Ministero di Grazia e Giustizia nella misura di Lire 87.999 (Euro 45,45) ovvero in altra da calcolare, con effetto dal 1/7/1998; l’altra attiene al diritto del ricorrente di ottenere l’incremento dell’attuale R.I.A. in godimento maturata presso il Ministero; il diritto del ricorrente di ottenere il – riconoscimento dell’attuale R.I.A. ex art. 9 dpr n. 44/1990, nella misura raddoppiata, ai sensi del V comma, per avere maturato oltre dieci anni di servizio nella vigenza contrattuale, con decorrenza dall’1/7/1998; con conseguente condanna del Ministero di Giustizia al pagamento, in favore dell’appellante, del maturato economico di cui ai due punti precedenti, a far tempo dal 1/7/1998, oltre interessi…”. Il sintesi l’odierno appellante, transitato il 2/4/1986 dai ruoli dell’amministrazione sanitaria regionale a quello del Ministero della Giustizia, ha chiesto da un lato il mantenimento dell’importo degli scatti di anzianità già in godimento presso il precedente datore di lavoro, perché più favorevole rispetto al nuovo trattamento di anzianità (R.I.A.); dall’altro la sommatoria dei servizi svolti presso l’una e l’altra amministrazione ai fini del raggiungimento dell’anzianità necessaria per ottenere la maggiorazione sulla retribuzione individuale di anzianità, prevista dall’art. 9 co. 5 del D.P.R. n. 44/99.

Ebbene, all’esito del presente giudizio di gravame, diversa è la sorte delle due domande.

1) Sul mancato riconoscimento degli scatti di anzianità già maturati ed in godimento al momento del passaggio dall’amministrazione sanitaria a quella statale, per Lire 87.999 (Euro 45,45), che l’appellante aveva diritto di percepire anche sul nuovo stipendio, ex art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957.

Senz’altro fondata è la censura sul punto mossa dall’appellante alla sentenza di prime cure, anche perché ha completamente omesso di pronunciarsi su tale domanda. Il pubblico dipendente ha invocato l’applicazione a proprio favore dell’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957 (Testo unico degli Impiegati Civili dello Stato), il quale stabilisce che in caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione, agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, pari alla differenza tra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio. E’ il c.d. divieto di reformatio in pejus del trattamento economico dei pubblici dipendenti, al loro passaggio da un’amministrazione ad un’altra, finalizzato a non scoraggiare la mobilità all’interno della p.a. (ritenuta fonte di arricchimento professionale per il dipendente e di proficua circolazione delle competenze per l’amministrazione), e garantito dalla corresponsione al lavoratore di un assegno ad personam, destinato a cessare al momento del riallineamento dei due trattamenti retributivi (riassorbimento).

Si tratta di norma che può ritenersi espressione di un principio generale, riferita a tutti i dipendenti pubblici, con applicazione non soltanto ai passaggi di carriera presso la stessa amministrazione statale o anche tra diverse amministrazioni statali, bensì anche ai passaggi nell’ambito di una amministrazione non statale, ovvero tra diverse amministrazioni non statali o da una di esse allo Stato e viceversa (come accaduto nel caso di specie). Ciò vale almeno sino a quando non è intervenuta la privatizzazione del pubblico impiego, perché è innegabile che prima di allora, pur nella sussistenza delle discipline speciali di ciascun settore il D.P.R. n. 3 del 1957 costituisse punto di riferimento della regolamentazione di tutto il pubblico impiego; sicché – se, come unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa formatasi sull’art. 202 cit., il divieto di reformatio in pejus rispondeva alla finalità di non ostacolare la mobilità del personale pubblico e di agevolarne la progressione in carriera mediante l’eliminazione degli ostacoli di ordine economico che avrebbe potuto spiegare effetti disincentivanti – non è irragionevole l’applicazione quanto meno analogica della nonna in questione a fattispecie, come quella in esame, di transito del dipendente verso l’amministrazione statale, provenendo da un datore di lavoro pubblico (la USL e, dunque, la Regione) non ancora esistente nel 1957.

Ciò premesso, è pacifico che al momento del passaggio dall’azienda sanitaria di Venosa alla Corte di Appello di Potenza, De.An. percepisse quale trattamento economico di anzianità (c.d. scatti) una somma superiore a quella percepita allo stesso titolo una volta passato al Ministero della Giustizia (cfr. pag. 2 della relazione di consulenza e le tabelle allegate).

E’ pur vero che, ai fini del rispetto del richiamato principio di irriducibilità della retribuzione in caso di passaggi di carriera, il confronto deve essere fatto tra i trattamenti economici complessivamente assicurati al lavoratore, comprensivi di ogni elemento retributivo fisso e continuativo, e non già tra singole voci retributive. Ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, nessuna contestazione o diversa allegazione è stata formulata dall’amministrazione convenuta, sicché deve ritenersi che il gap negativo tra le retribuzioni godute dal De Fata alle dipendenze delle due diverse amministrazioni si fondi tutto ed esclusivamente sul differente trattamento di anzianità.

Concludendo sul punto, previo riconoscimento del diritto dell’appellante di percepire, perché più favorevole, il trattamento di anzianità già in godimento presso l’amministrazione di provenienza, sino al limite del riassorbimento per effetto dei successivi aumenti dell’analogo emolumento corrisposto dal Ministero di Giustizia, quest’ultima amministrazione dev’essere condannata a corrispondere a De.An., per le differenze maturate dal 1/7/1998 ad oggi, l’importo complessivo di Euro 537,72, dato dalla sommatoria delle differenze tra l’importo degli scatti di anzianità già in godimento e le somme concretamente percepite dal Ministero quale trattamento economico di anzianità (e così: Euro 154,28 per il 1998; Euro 286,52 per il 1999; Euro 6,76 per ciascuno degli anni compresi tra il 2000 ed il 2013; Euro 2,08 per il periodo da gennaio ad aprile 2014: si vedano le colonne 3 e 4 delle tabelle riportate nella relazione scritta del CTU, intitolate “scatti di anzianità” e “somme percepite”; nessun rilievo deve, invece, darsi alle altre voci riportate nella medesima tabella in punto di raffronto tra i due trattamenti di anzianità, quello per così dire di partenza e quello di arrivo, perché estranee ai quesiti formulati dalla Corte).

2) Sul mancato riconoscimento del diritto di ottenere la corresponsione dell’attuale R.I.A., ex art. 9 D.P.R. n. 44/1990, nella misura raddoppiata, ai sensi del V comma, per avere maturato oltre dieci anni di servizio nella vigenza contrattuale, con decorrenza dall’1/7/1998.

Su tale punto il proposto appello è invece infondato, meritando piena conferma la decisione adottata dal primo giudice.

L’art. 9 del D.P.R. n. 44/90, nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianità (i vecchi scatti di anzianità) per il comparto ministeri, stabilisce che, al personale che alla data del 1/1/1990 abbia acquisito “esperienza professionale con almeno cinque anni di servizio effettivo”, competa una maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità in misura fissa (e di importo differente a seconda delle varie qualifiche professionali, dalla I alla IX), la quale raddoppia e quadruplica nei confronti di coloro che alla stessa data abbiano maturato rispettivamente dieci o venti anni di servizio (co. 4 e 5).

Lamenta l’appellante che il Ministero della Giustizia, nel calcolare la maggiorazione della R.I.A. a lui spettante, non abbia tenuto conto anche del servizio svolto presso la U.S.L. n. 1 di Venosa, senza soluzione di continuità, dal 28/11/1979 sino al passaggio nei ruoli del Ministero, avvenuto il 2/4/1986: egli rivendica, dunque, la piena equiparazione di detto periodo a quello prestato alle dipendenze dell’amministrazione statale, ai fini del calcolo dell’anzianità utile per l’ottenimento delle maggiorazioni in parola.

In materia si è, però, formata e consolidata una giurisprudenza di legittimità assolutamente contraria alle tesi dell’appellante, la quale ritiene che nel rapporto di lavoro degli impiegati statali le maggiorazioni della R.I.A. spettino soltanto a chi possa vantare la necessaria anzianità di servizio nello specifico settore lavorativo nel quale vige la maggiorazione stessa, e dunque abbiano conseguito l’anzianità stessa nell’ambito di amministrazioni dello Stato e non (anche) presso altri enti pubblici.

La Suprema Corte parte dalla constatazione che l’art. 9 comma 5 in argomento fa esplicito riferimento al “servizio” e quindi al servizio prestato presso il Ministero, e non all’anzianità che è cosa diversa; quindi osserva che la maggiorazione prevista dal comma 5 è solo un aumento della maggiorazione già prevista al comma 4, aumento subordinato alla maggiore durata del servizio, non già di cinque anni, ma di dieci o di venti; e conclude nel senso che se la maggiorazione di cui al comma 4 viene erogata in considerazione della esperienza professionale acquisita con almeno cinque anni di effettivo servizio, e dunque è collegata e dipende dall’esperienza conseguita nel settore

in cui vige la maggiorazione, ossia nel comparto Ministeri, anche la maggiorazione di cui al comma 5, che richiede un servizio più lungo (non già cinque, ma dieci o venti anni) è evidentemente condizionata al fatto che questo sia stato prestato nel medesimo settore e non già in un settore diverso (cfr. Cass. Sez. L. , sent. n. 11836 del 2009; Cass. Sez. L. , sent. n. 756 del 19/1/2012, quest’ultima significativamente pronunciata in fattispecie assai simile a quella che ci occupa, di maggiorazione retributiva richiesta da un cancelliere di tribunale per il periodo nel quale aveva lavorato alle dipendenze di un Comune).

Tale indirizzo è stato di recente ribadito da Cass. Sez. VI – L. , ord. n. 17404 del 30/7/2014: pronunciandosi in camera di consiglio e con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 co. 1 n. 5) c.p.c., e dunque con il rito previsto per i ricorsi da rigettare per manifesta infondatezza, la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto da una lavoratore che, ai fini del riconoscimento della maggiorazione della R.I.A., chiedeva di sommare al servizio prestato presso il Ministero della Difesa anche quello precedentemente effettuato alle dipendenze di Organismo militare operante nell’ambito NATO.

Il principio di diritto che la Corte ha ritenuto di dover ribadire è quello che “in tema di rapporto di lavoro degli impiegati statali, la retribuzione individuale di anzianità (RIA) è istituto retributivo commisurato all’anzianità di servizio e preordinato a premiare l’esperienza professionale maturata nello specifico settore nel quale è effettuata la prestazione: ne consegue che la maggiorazione della RIA prevista dal D.P.R. n. 44 del 1990, art. 9, comma 5, in favore del personale statale che abbia maturato dieci o venti anni di servizio, spetta soltanto a coloro che possano vantare detta anzianità di servizio nello specifico settore lavorativo nel quale vige la maggiorazione stessa. Ne consegue (altresì, n.d.r.) che l’esperienza professionale deve essere, quindi, quella maturata nello specifico settore e dunque nell’ambito di amministrazioni dello Stato e non presso altri enti pubblici”.

Non ritiene questa Corte territoriale di poter discostarsi da questo tale indirizzo, che assume ormai i connotati del diritto vivente (certalex).

Si fa peraltro notare come il diverso orientamento in passato espresso dalla giurisprudenza amministrativa, incline a ritenere che l’anzianità di servizio richiesta per il riconoscimento della maggiorazione del RIA a favore dei dipendenti del comparto Ministeri fosse quella effettivamente conseguita, anche in modo non continuativo, presso qualsiasi amministrazione pubblica, anche locale, e non necessariamente statale, presupponesse che fra i due servizi svolti vi fosse parità o assimilabilità di contenuto professionale, con conseguente utilità che dalla esperienza professionale complessivamente acquisita dal dipendente era in grado di ricevere la qualità del servizio reso presso il servizio di destinazione; in altre parole, ammetteva il cumulo dei periodi di servizio svolti presso un’altra amministrazione pubblica, anche locale, ed un Ministero, a condizione che anche il primo servizio concorresse, per omogeneità di prestazioni, a determinare il maggior bagaglio professionale spendibile nello svolgimento del secondo servizio, che è la giustificazione alla base del “premio” riconosciuto con la maggiorazione della RIA (cfr. p. es., TAR Puglia, sent. n. 3475 del 8/8/2000).

Orbene nel caso di specie non è possibile ravvisare neppure tale omogeneità di contenuto professionale, in quanto è pacifico (emergendo dalla certificazione del 5/2/2004, depositata dallo stesso appellante) che De.An. presso la USL di provenienza svolgesse mansioni di infermiere generico, e non già compiti impiegatizi, in qualche modo assimilabili a quelli assunti presso la Corte d’Appello di Potenza.

3) Conclusioni.

Per tutto quanto innanzi detto, il proposto appello va accolto soltanto parzialmente, con riconoscimento del diritto dell’appellante alla conservazione del trattamento economico di anzianità così come maturato ed in godimento al momento del passaggio al Ministero della Giustizia (sino ad assorbimento con i successivi aumenti) e con condanna di quest’ultimo al pagamento in favore di De.An. della complessiva somma di Euro 537,52, quale differenza maturata al riguardo dal 1/7/98 al 30/4/2014, che va maggiorata degli accessori di legge dalla scadenza dei singoli crediti sino al saldo.

L’accoglimento solo parziale dell’originaria domanda conduce a porre a carico del Ministero soccombente un quarto delle spese di lite del doppio grado, liquidate per l’intero nella misura indicata in dispositivo, sulla scorta delle tariffe introdotte dal D.M. n. 55/2014, entrato in vigore il 3/4/2014 ed immediatamente applicabile alle liquidazioni successive. La residua quota va compensata.

Le spese di CTU, separatamente liquidate, sono definitivamente poste a carico di ambo le parti secondo le quote indicate in dispositivo, che tengono conto della misura della disposta compensazione parziale.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull’appello proposto in data 24/5/2012 da De.An. nei confronti del Ministero della Giustizia, avverso la sentenza del Tribunale g.l. di Potenza n. 1289/11 del 14/6/2011, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

1) in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della sentenza

appellata, dichiara il diritto dell’appellante al riconoscimento economico degli scatti di anzianità maturati ed in godimento al momento del passaggio al Ministero della Giustizia e, per l’effetto, condanna il Ministero della Giustizia, in persona del ministro pro – tempore, al pagamento in favore di De.An. della complessiva somma di Euro 537,52, maggiorata di accessori di legge dalla maturazione dei singoli crediti sino al saldo;

2) condanna il Ministero appellato al pagamento in favore dell’appellante di un quarto delle spese di lite del doppio grado, che liquida per l’intero quanto al primo grado in Euro 490,00 e quanto al grado d’appello in Euro 640,00, oltre IVA, CAP e rimborso forfetario come per legge, con compensazione della residua quota;

3) pone definitivamente le spese della CTU per 3/8 a carico dell’appellante e per 5/S a carico dell’appellato.

Così deciso in Potenza il 9 ottobre 2014.

Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2014.